A scuola siamo sempre stati abituati ad imparare solo un lato della storia: quella Occidentale, solo un punto di vista della cultura mondiale, solamente il nostro passato. Quante volte invece è sorto in noi il desiderio di scoprire “il volto della luna a noi sconosciuto”, a conoscere la storia dei nostri vicini di casa e ad uscire dalla nostra visione dei fatti? Quante volte in noi sono sorte domande del tipo “chissà come la pensavano loro”, “chissà cosa stava succedendo in paesi lontani dai noi durante questo periodo” “chissà come e cosa ha fatto sì che si sviluppasse una cultura tanto diversa dalla nostra”?
Tante domande con mancate risposte che rendono statica la nostra mente e che ristagna la nostra curiosità, quella curiosità che tanto ci dicono di coltivare, che ci dicono che sia una delle cose più importanti e preziose in un/a ragazzo/a, ma che viene puntualmente trascurata nel luogo più importante della formazione di noi giovani: la scuola. Però, proprio perché adesso abbiamo l’opportunità di pensare in modo diverso, di cambiare, anche in parte, ciò a cui siamo abituati a vivere quotidianamente (e che tanto normale non dovrebbe essere), vorrei esplorare con voi quella fetta di terra nelle lande oscure della Luna: la donna nelle corti medievali giapponesi.
Per comprendere a pieno le loro usanze, dobbiamo prima capire un elemento che cambiò radicalmente la vita delle donne, e in particolare quelle di altro rango: la repressione sociale come conseguenza della diffusione del Buddismo nella società nipponica. Questa filosofia si diffuse in Giappone nel VI sec. in concomitanza al primo “golden age” Giapponese, ovvero il periodo Heian (794-1185), in cui il paese si rese indipendente dalle influenze culturali cinesi per promuovere e sviluppare una propria identità nazionale, e in cui il potere politico della famiglia regnante smise di essere autorevole ed insigne.
Infatti, proprio a causa di questo ultimo fattore, il buddismo accrebbe il suo potere e la sua influenza sulla popolazione, così tanto da sviluppare, all’interno della vita politica e sociale, una visione androcentrica che ebbe come effetto un atteggiamento denigratorio verso il ruolo della donna. Questo venne poi anche rafforzato da molteplici testi e precetti buddisti, come il libro dei Cinque ostacoli.
Le donne, dunque, si ritrovarono escluse dalla vita politica, economia e sociale e il loro ruolo nella società perse quasi del tutto il suo valore. Tutt’oggi possiamo notare gli effetti di queste riforme culturali nell’immagine femminile che vengono rappresentati nei film, negli anime e nei manga, nelle storie e nelle leggende.
Quello che non sappiamo è che dietro agli stereotipati ritratti della donna pacata, timida e sempre gentile, si nasconde, dietro alle tende e ai ventagli, una persona che, nonostante le oppressioni subite, desidera esprimere sé stessa, la propria personalità, i propri gusti estetici e la propria anima.
Benché, segregate in casa, queste donne colte e intelligenti, sono state capaci di esprimere sé stesse e la propria creatività non solo con la letteratura, le poesie, la musica e le arti ma anche con la maestria nell’abbigliamento, nelle acconciature e nella ricercatezza della cosmesi. Così che questi elementi, che possono sembrare effimeri e puramente estetici, in realtà definiscono la cultura della bellezza rappresentando dei veri e propri valori di identità e di libertà. La libertà personale, che a tutti i costi la società cercò di sottrarre, ma a cui le donne, lottando faticosamente e in silenzio, mai vollero rinunciare.
(Elena Beltramini, 3G)