Per molti goriziani, sia italiani che sloveni, i 42 giorni in cui Gorizia rimane sotto amministrazione Jugoslava (1 maggio-12 giugno 1945), sono giorni di grandi incertezze e contraddizioni, segnati dalla paura di quelle violenze che oggi sono ricordate sotto il nome di «foibe».
Arresti, deportazioni e uccisioni da parte dell’esercito jugoslavo riguardano soprattutto italiani, ma anche sloveni, che vengono accusati di essere «nemici del popolo».
Appartenenti alle forze militari e di sicurezza dell’Italia fascista, intellettuali e politici anticomunisti, membri dell’apparato burocratico, cattolici e, anche, personalità di spicco del CLN che, pur avendo dimostrato l’impegno antifascista avevano manifestato anche la contrarietà per l’annessione alla Jugoslavia.
Agli arresti eseguiti sulla base di elenchi stilati dai comandi partigiani nel corso della guerra, si sommano quelli derivanti da delazioni e spiate, motivate da rancori o opportunismo.
Alcuni degli arrestati saranno liberati, anche a seguito dell’intervento di concittadini che garantiscono per loro, ma molte sono le esecuzioni a seguito di processi arbitrari. Di chi verrà deportato in Jugoslavia, spesso, non si avranno più notizie.